Vino e Rituali

Il vino? C’è più gusto se ritualizzato

Quello del vino è un consumo caratterizzato da forti elementi rituali. E non parliamo solo di quei connotati legati alla religione, come ad esempio il momento della transustanziazione che trasforma il vino in Sangue di Gesù Cristo. Più in generale, e in modo più profano se si vuole, il consumo del vino da sempre si presta ad uno spettacolare cerimoniale fatto di gesti, di linguaggi e di significati dal profondo valore simbolico. Basti pensare all’apertura di una bottiglia di vino, che spesso si associa ad un momento di piacere, di socialità, o di amicizia. Anche la scelta del vino ha in sé evidenti connotati ritualistici. Seduti al ristorante magari per un incontro galante, la scelta del vino é parte integrante di un rituale che tende ad affermare una certa identità maschile nel senso di savoir-faire verso la donna. L’antropologo francese Arnold Van Gennep (1909) ci ha spiegato che il rituale è un processo che ha profonde radici culturali che serve a compiere un’azione sociale di vitale importanza per gli esseri umani, il passaggio. Ad esempio l’aperitivo del venerdì sera è un rito che facilita la transizione dalla settimana lavorativa al week-end. Durkeheim (1912) elabora un’altra teoria affascinante: la ritualizzazione come un processo che ha la finalità di demarcare il sacro dal profano. Basti pensare con quanta cura scegliamo, conserviamo e degustiamo certe bottiglie che consideriamo più importanti (o sacre) rispetto ad altre meno importanti (o più profane).

 L’esperienza rituale.

 I rituali hanno sempre avuto un’aurea misteriosa, quasi magica con un alto potere esperienziale. Per dirla con una influente antropologa, Mary Douglas (1989), l’uomo è un animale rituale che trova soddisfazione solo quando le sue azioni sono organizzate in senso ritualistico.Tale soddisfazione, deriva non tanto dalla ripetitività tipica dell’azione rituale, ma dall’insieme di regole, modi di fare, gesti, e perfino linguaggi che nel loro insieme danno significato alle cose. Berreste voi allo stesso modo un Barolo e un più modesto vino sfuso? Un metodo classico o un comune vino frizzante? Certamente no. Se sapientemente ritualizzata l’azione di bere vino è capace di fornire un’incredibile esperienza di assaggio, come ad esempio il rito di degustazione del sommelier.

Parte integrante dell’esperienza è anche l’espletamento del ruolo rituale. Tipicamente, vi è quello dell’intenditore di vino. Spesso, non si tratta solo di scegliere un vino. Il ruolo rituale è un vero e proprio ruolo sociale. L’intenditore di vino nello scegliere la bottiglia davanti agli amici promulga le sue qualità sociali di conoscitore e di leader. Con un’immagine molto efficace, potremmo identificare il ruolo dell’intenditore di vino come quello di uno sciamano, che aiuta il resto della tribù a trovare piena soddisfazione dall’assaggio.

Il rituale è anche divertente. È come un gioco, uno schema ludico, che produce un momento di svago o di evasione. Questo perché il rituale si svolge all’interno di una dimensione straordinaria della vita, nel senso che il rituale è slegato dalle azioni ripetitive e monotone di tutti i giorni. In quanto straordinaria, l’esperienza rituale è capace di produrre delle forti emozioni che tendono ad essere ricordate nel tempo.

Un altro aspetto fondamentale legato all’esperienza rituale è il luogo cioè lo spazio fisico in cui il rituale si svolge, come una ‘piazza’, un vigneto, un moderno winebar oppure anche una vecchia osteria. In un contesto rituale, questi luoghi hanno un profondo valore simbolico, nel senso che spesso sono veri e propri luoghi di culto dove si perpetua l’adorazione per il dio bacco. Il luogo rituale è un posto sacro dove si coltiva l’ideologia per il vino, si pratica una fede, si costruisce una propria identità. Questi luoghi svolgono una parte estremamente importante nella vita delle persone e pertanto vengono scelti con molta cura e devozione, divenendone anche un importante punto di aggregazione sociale.

Il fattore aggregativo è infatti una funzione tipica del rituale perché facilita lo scambio sociale, unendo gli individui in un momento di consumo collettivo ovvero quello che potremmo oggi chiamare community. Vi sono molti esempi di community nel rituale del vino, come la movida cittadina che si raggruppa durante l’aperitivo serale. Oppure il ristretto gruppo di eno-appassionati che in modo itinerante visitano diverse regioni vinicole in cerca di nuove esperienze enogastronomiche. Vi sono poi le forme più nucleari di comunità rituale, come i compleanni, i matrimoni, le ricorrenze familiari in genere. Il punto focale della comunità rituale è lo stare insieme ovvero il rituale è quel link sociale che da valore aggiunto al consumo del vino.

In conclusione, si può affermare che se sapientemente ritualizzato il consumo del vino risulta essere più soddisfacente, perché capace di fornire un’esperienza straordinaria. Oggi invece vi è un largo consenso tra gli esperti nel sostenere che il piacere del vino passi soprattutto attraverso l’esperienza di assaggio in termini di caratteristiche organolettiche. Il rituale è l’altro aspetto ugualmente importante, e che spesso ci si dimentica di promuovere. 

Luigi Servadio, Ph.D.

 

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